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Cristo o Hitler?

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Cristo dice:
«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà”».

Siamo ancora dentro il testo, un po’ ostico, della lettera agli Ebrei.
L’autore pone una nuova misura per dare lode a Dio, non la Legge (con tutti i suoi precetti!) e nemmeno il sacrificio animale, ma la lode a Dio è compiere la volontà del Signore.
Questa è la vera lode!
Anzi, alla luce del Vangelo, si comprende che questa è la vera famigliarità con Dio: come il Figlio è tale perché compie la volontà del Padre, così anche noi, siamo in Dio madri e fratelli: Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre.

Questa nuova legge è una legge del cuore.
Allora ogni pratica cristiana, ogni devozione, ogni precetto della Chiesa, serve a tenere desto il cuore per vivere la volontà di Dio, che è l’esperienza del Figlio unigenito, nel quale Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

Oggi è la Giornata dell’Olocausto, ben ci stanno in questo discorso le parole del beato Franz Jägerstätter, cattolico austriaco, che dal carcere scrive:

Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che Egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo.

Meglio le mani legate che la volontà!
Un cristiano, un cattolico, il beato Franz che ci fa riflettere su cosa vuole dire obbedire alla volontà di Dio.
Ancora scrive:
Siate ubbidienti e sottomettetevi alle autorità (egli un soldato sotto il nazismo) Io credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non si danneggia nessuno. Se al giorno d’oggi gli uomini fossero un po’ più sinceri ci dovrebbe essere, credo, anche qualche cattolico che dice: “Sì, mi rendo conto che quello che stiamo compiendo non è bene, tuttavia non mi sento ancora pronto a morire”.

Possiamo dire credo, in questo ragionamento, che l’Olocausto è anche colpa della non coscienza cristiana.
Ma questo vale ancora oggi quando facciamo tacere la coscienza, e poniamo l’obbedienza alla volontà di Dio non come la lode da dare a Dio, ma il disturbo da non vivere, il silenzio da fare, la coscienza da far tacere. E quindi assecondiamo ogni fratricidio, morale, fisico o verbale di ogni uomo che la cultura del momento definisce come un non uomo. Non fecero così al tempo del beato Franz con gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali. Oggi chi è la vittima di una coscienza messa a tacere?
Negli anni 50 avevamo i terüni; concetto che abbiamo ancora nelle nostre comunità cristiane! Non vi dico poi vecchi sacerdoti! Che vergogna, che onta sul nostro cristianesimo!
Ma siamo ancora lì!
Nulla è stato dimenticato! Ora abbiamo gli extracomunitari, e di recente abbiamo aggiunto gli islamici: con una differenza, ora siamo istigati da tutta una mediazione televisiva che deforma la nostra coscienza, un tempo era tutta farina del nostro sacco! Vergogna!

Scrive ancora il Beato Franz:
Io mi azzardo a dire molto apertamente che chi è pronto a soffrire e a morire, piuttosto che offendere Dio con il più piccolo peccato veniale, è anche disposto a morire per la propria fede. Questi avrà maggior merito di chi viene condannato pur di non abiurare pubblicamente la Chiesa, perché in questo caso si ha semplicemente il dovere, se non si vuol commettere peccato grave, di morire piuttosto che obbedire.

Il cristiano deve avere il coraggio di una disobbedienza civile e sociale se questa va contro l’obbedienza alla volontà di Dio!
Dio vuole l’odio tra gli uomini? Ed allora perché sei razzista!
Dio vuole la morte del figlio in grembo? Ed allora perché fai l’aborto!
Dio vuole le lotte fratricide? Ed allora perché alimenti le guerre tra gli uomini!
Scrive ancora il Beato: noi uomini siamo cambiati in molte cose, ma Dio non ha tolto uno iota dai suoi comandamenti.
Forse nell’essere nella volontà di Dio ti sentirai solo, ma il beato Franz oramai in carcere e a pochi giorni prima di morire afferma:
Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile.

La stessa cosa l’aveva detta l’Apostolo Paolo:
Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.


 

Concludo.
Scrive il beato Franz in una lettera al cugino Hans:
Se non ci fosse la paura degli uomini, allora ci sarebbero tanti santi a questo mondo … Non rinunciare alla preghiera perché tu non venga travolto da questa debolezza della paura degli uomini.

uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare … Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, …Amen.

Tommaso D'Aquino e Rolando Rivi

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Non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.

La liturgia odierna che celebra il Santo di Roccasecca, detto dai suoi compagni di studio “bue muto” per il suo essere schivo e robustello, ci propone la Croce di Cristo come sapienza per la vita.

Scrive San Tommaso:
Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.

Infatti la Croce è carità:
Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

La Croce è pazienza.
Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano.
Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non apri la sua bocca (cfr. At 8, 32).

Ma la Croce è anche umiltà, obbedienza e disprezzo dello mentalità di questo mondo.

La Croce è una scuola di vita cristiana, sulla via della Croce si impara ad essere discepolo e quindi si impara ad essere sale e luce:
Voi siete il sale della terra; …. Voi siete la luce del mondo.

Il grande San Tommaso d’Aquino educò con i suoi scritti generazioni e generazioni di cristiani alla scuola della Croce, per renderli veri discepoli di Cristo.

Chissà quante volte il piccolo Rolando ha visto il suo parroco leggere le orazioni in preparazione alla Messa, di cui una è del Santo d’Aquino:
Onnipotente ed eterno Iddio, ecco che io mi accosto al Sacramento del Figlio tuo unigenito nostro Signore Gesù Cristo: mi accosto come infermo al medico della vita, come immondo al fonte della misericordia, come cieco al lume della chiarezza eterna, come povero e bisognoso al Signore del cielo e della terra. … Concedimi ti prego, che io riceva non solo il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma anche la grazia e la virtú di questo Sacramento.

La vita del giovane martire Rolando è certamente sacramento, cioè presenza di Cristo, perché ogni vero testimone di Cristo è Sua presenza: è sale e luce.
Il martirio di Rolando ci da il gusto di Dio, ci pensare come è bella una vita tutta in Dio: “Io sono di Gesù”, come diceva Rolando.
Così come il suo parroco pregava con l’orazione di San Tommaso nella Praeparatio ad Missam:
ch'io riceva cosi il Corpo dell'unigenito Figlio … così che io meriti d'essere incorporato al suo mistico corpo ed annoverato fra le sue mistiche membra.
Una vita - quella di Rolando - che è ora luce sul lucerniere alla Chiesa, annoverato tra i Dottori, i Vescovi, i Sacerdoti, le Vergini, i Genitori … lui un semplice ragazzo.

L’Aquinate nella sua Somma Teologica scrive: «il martirio meglio di tutti gli altri atti virtuosi dimostra la perfezione della carità»
Rolando è la carità di un bambino verso di noi? Rolando è la carità di Dio verso di noi? Rolando è segno profetico di una riconciliazione dell’umanità del XX con il suo Signore?
 


 
Rolando con la sua morte è un segno che una vita è veramente cristiana se diventa veramente di Gesù!Amen.

Preghiamo per ...

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Per il Presidente della Repubblica,
perché illuminato dalla sapienza che viene dall'alto
e sorretto dalla concordia di tutto il corpo sociale,
possa adempiere il suo compito
di custode dei diritti e delle libertà comuni,
e di rappresentante dell'unità nazionale, preghiamo.

                                                                                                                                    (dal Benedizionale)

Lucina, la martire romana venerata a Rosate

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Il 12 febbraio 1933 il card. Schuster arcivescovo di Milano donò alla parrocchia di rosate il corpo santo di Lucina. Ogni cinque anni il 30 giugno, memoria di santa Lucina, viene esposta l'urna che contiene le reliquie della santa e celebrata una messa solenne.

Il corpo venne estratto dalle catacombe di Sebastiano nel 1621 portato a Massa Lubrense, nei pressi di Sorrento, in un collegio gesuita.
Nel 1933 dopo la soppressione del collegio le reliquie vennero donate dal vescovo di Sorrento al cardinale A. I. Schuster che decise di donarle alla chiesa prepositurale di Rosate.
 
La Martire è detta erroneamente "matrona e martire", ma è molto improbabile che si tratti della matrona del "titulus lucine", in quanto reliquie della matrona - di cui per certi versi se ne mette in dubbia la storicità - erano in S. Cecilia in Trastevere. La matrona martire Lucina era presenta nell'antico martirologio (fu iscritta per la prima volta in quello di Adone), ma in quello del 2001 non è più presente la sua memoria al 30 giugno.
Per di più va aggiunto che la memoria della matrona romana era così vivo grazie al titulus, per cui non possibile che il corpo rimase non venerato fino al 1621, perché disperso in una catacomba, infatti il suo sepolcro era già venerato nel VI secolo presso il cimitero dei santi Processo e Martiniano, secondo ben due fonti antiche: indice degli Olii di Monza e la Notitia ecclesiarum.
 
Detto questo, anche il beato Schuster ogni tanto fantasticava ...

Martedì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

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* Messa per il Presidente della Repubblica
** memoria facoltativa di San Biagio V.M.






I quattro Evangelisti sono concordi nell’attestare che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica.In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione.(Benedetto XVI)

La lettera agli Ebrei ci ricorda:
anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.

La partecipazione alla vittoria di Cristo è segnata dalla liberazione dalla Male; qui l’autore usa il termine “deposto”, che presuppone una libertà nel voler togliere.
E poi un decidersi di essere di Cristo … così da intraprendere una corsa, con lo sguardo fisso su Gesù, in Lui il mio desiderio di bene trova il compimento ed è portato a compimento.

Non siamo soli, siamo circondati da una moltitudine di testimoni , e tra questi oggi anche il vescovo e martire Biagio.
Vescovo dell’Armenia. Il prossimo 23 aprile il patriarca di tutti gli armeni proclamerà il martirio per la fede in Cristo di ben 1,5 milioni di armeni: uomini, donne e bambini! Siamo circondati da una moltitudine di testimoni.

Con lo sguardo in Gesù, perseveriamo nella corsa della fede. Amen.

Quattro martiri e un venerabile ...

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- il martirio del Servo di Dio Oscar Arnolfo Romero Galdámez, Arcivescovo di San Salvador; nato il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios (El Salvador) e ucciso, in odio alla Fede, il 24 marzo 1980, a San Salvador (El Salvador);

- il martirio dei Servi di Dio Michele Tomaszek e Sbigneo Strzałkowski, Sacerdoti professi dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali, nonché Alessandro Dordi, Sacerdote diocesano; uccisi, in odio alla Fede, il 9 e il 25 agosto 1991, a Pariacoto e in località Rinconada, nei pressi di Santa (Perú);

- le virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Bacile, Arciprete Decano di Bisacquino; nato a Bisacquino (Italia) il 12 agosto 1880 ed ivi morto il 20 agosto 1941.

Un 14enne martire per Cristo ...

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beato Giuseppe Sanchez Del Rio
dal film "Cristiada"

 
Il quattordicenne messicano Giuseppe Sanchez Del Rio, visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, resto edificato dalla sua testimonianza e chiese a Dio vivere e morire in difesa della fede cattolica. Morì il 10 febbraio 1928, gridando: “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe!”.
 
 
beato Giuseppe Sanchez Del Rio
 
 
Il martirio del giovane Giuseppe fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da San Giovanni Paolo II, mentre è stato beatificato il 20 novembre 2005 da S.S. papa Benedetto XVI.
 
 
beato Giuseppe Sanchez Del Rio
 
 


Cristiada ... il film è nelle sale italiane. Merita di essere visto.
Una pagina della storia della Chiesa del XX secolo.

FILM & DATE  al seguente link le date in Italia.
            

Sanremo 2015


Uno «spirito nuovo» per l'incontro tra le due Chiese ...

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Un articolo di padre Pani su «La Civiltà Cattolica» rilancia le parole pronunciate da Francesco davanti al patriarca Bartolomeo a Istanbul: uno «spirito nuovo» per l'incontro tra le due Chiese

ANDREA TORNIELLICittà del Vaticano
 
 
 
Le parole pronunciate da Papa Francesco lo scorso novembre a Istanbul, in presenza del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo rilanciano l'approccio che si ebbe nel concilio di Firenze, «un modo nuovo e originale per giungere alla piena unità fra le Chiese».  Lo afferma l'ultimo numero de «La Civiltà Cattolica», l'autorevole rivista dei gesuiti le cui bozze sono vagliate dalla Segreteria di Stato vaticana, in un articolo a firma di padre Giancarlo Pani intitolato «Per giungere alla piena unità».
 
 
«La Civiltà Cattolica» ricorda che nella Divina Liturgia a Istanbul Francesco ha formulato una proposta di unione destinata ad avere un peso nei rapporti ecumenici con l’ortodossia. La Chiesa cattolica, «per giungere alla meta sospirata della piena unità... non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune». Inoltre, essa è pronta «a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze». Infine termina: «L’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».
 
 
Il Papa - fa notare l'autore dell'articolo - ha ripreso una mozione fatta diversi anni fa, nel 1982, dall’allora cardinale Joseph Ratzinger: «Roma non deve richiedere dall’Oriente, riguardo alla dottrina del primato, più di quanto è stato formulato e vissuto nel primo millennio. Quando il patriarca Athenagora..., in occasione della visita del Papa... lo ha designato come successore di san Pietro, come il più stimato tra noi, come colui che presiede nella carità, questo grande leader della chiesa stava esprimendo il contenuto ecclesiale della dottrina del primato così come era conosciuto nel primo millennio. Roma non ha bisogno di chiedere di più».
 
 
Le Chiese orientali, prima dello scisma del 1054, e dunque nel primo millennio, riconoscevano infatti il primato di Roma come la Chiesa che «presiede nella carità». Nel secondo millennio, poi, la Chiesa latina ha ampliato i poteri del Papa con una giurisdizione su tutte le Chiese cattoliche. Francesco ha anche precisato che la comunione «non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo»
 
 
Sia il Papa sia Bartolomeo hanno poi firmato una dichiarazione congiunta, in cui si esprime «la profonda gratitudine a Dio per il dono di questo nuovo incontro, che ci consente, in presenza dei membri del Santo Sinodo, del clero e dei fedeli del Patriarcato Ecumenico, di celebrare insieme la festa di Sant’Andrea... Il nostro ricordo degli Apostoli, che proclamarono la buona novella del Vangelo al mondo, attraverso la loro predicazione e la testimonianza del martirio, rafforza in noi il desiderio di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che ci dividono... Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi». In tal modo, fa notare «La Civiltà Cattolica», Papa Francesco ha ripreso un’antica formula di unione che era stata sancita, nel 1439, al Concilio di Firenze.
 
A Firenze il confronto più acceso aveva riguardato il problema della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio: ex Patre per Filium, oppure ex Patre Filioque? Le due formule sono presenti sia presso i Padri orientali sia presso quelli occidentali. La polemica, piuttosto vivace, si era conclusa con un compromesso: va rispettata la libertà dei greci, che non sono tenuti a introdurre nel Credo il Filioque, ma essi devono riconoscere ai latini l’ortodossia dell’aggiunta.
 
 
Il punto più controverso rimaneva la dottrina sul primato del Papa. I greci sono disposti a riconoscere la Sede romana come la prima della pentarchia (cioè delle cinque più antiche sedi patriarcali), ma pretendevano una limitazione dei poteri del papato attraverso il riconoscimento dei diritti degli altri patriarchi: «Definiamo che la santa sede apostolica e il romano pontefice hanno il primato su tutto l’universo; che lo stesso romano pontefice è il successore del beato Pietro, principe degli apostoli, ed è autentico vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i cristiani; che nostro Signore Gesù Cristo ha trasmesso in lui, nella persona del beato Pietro, il pieno potere di pascere, reggere e governare la Chiesa universale, come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni»
 
 
«L’ultima aggiunta - scrive padre Pani - è interpretata dai latini come esplicativa, dai greci invece come restrittiva. Si stabilisce poi un ordine tra i cinque patriarchi, ma non si dice in quale relazione stiano tra loro e in che modo essi si limitino. In particolare, non si fa derivare il potere dei patriarchi dalla plenitudo potestatis di Roma, come è detto nella formula di unione del II Concilio di Lione. Per i latini, la dichiarazione sul Papa è una enunciazione dogmatica, mentre l’aggiunta finale è una venerabile tradizione. Per i greci, al contrario, il Papa viene riconosciuto come il capo della pentarchia, mentre la precisazione "come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni"è una reale limitazione del primato. L’opposizione dei greci all’inserimento del Filioque nel Credo deriva appunto dal principio che il Papa non possa legiferare su questioni comuni a tutti i cristiani senza consultare gli altri patriarcati».
 
 
Il 6 luglio 1439 si giunge così al decreto di unione «Laetentur caeli», che è di notevole interesse non tanto per le conseguenze storiche quanto, osserva «La Civiltà Cattolica» per i princìpi teologici sottesi. Il decreto segna l’apice del Concilio: l’ultimo e più importante tentativo di unire le due Chiese separate di Occidente e di Oriente, coinvolgendo tutti gli orientali (greci, armeni, ruteni, caldei e nestoriani). L’unificazione viene firmata, anche se poi non si concretizza perché, essendo stata opera di teologi, ha avuto vita breve: non è stata compresa e riconosciuta dal clero, dai legati greci, e soprattutto dal popolo della capitale. Al ritorno a Costantinopoli, i legati non hanno avuto nemmeno il coraggio di annunciare che l’unione era stata siglata.
 
 
«Eppure il decreto conciliare - osserva padre Pani - conserva il valore delle definizioni teologiche e dei princìpi dottrinali per quanti desiderano davvero l’unione. Di fatto ha preparato il terreno per alcune unioni ecclesiastiche nei secoli successivi, in particolare per la riunificazione con Roma della Chiesa rutena nel 1596 e di quella rumena nel 1700. Il significato dell’unione siglata a Firenze è quindi rilevante. Si tratta infatti di una riunificazione fra la Chiesa latina e quella greca sulla base di una parità e di una uguaglianza, e non di un ritorno alla "Chiesa madre"». Il Concilio infatti abbatte le separazioni con un accordo sui punti controversi, dove si riconoscono la varietà dei riti e delle formule liturgiche, la parità delle strutture ecclesiali e giurisdizionali. «L’unione perciò rappresenta un modello emblematico per la storia del cristianesimo, perché sa riconoscere il valore paritario delle due istituzioni. Si tratta, in qualche modo, di un "ecumenismo ante litteram"». Al punto che nel 1984 la Commissione congiunta Cattolica Romana ed Evangelica Luterana, commentando l’unione del Concilio di Firenze, l'ha definita «un fatto nuovo nella storia».
 
In una nota dell'articolo, che riprende un brano tratto da un colloquio internazionale sui concili, si legge: «Nell’unione realizzata al concilio di Firenze fra la Chiesa latina e quella bizantina non avvenne una fusione, giacché ogni Chiesa conservava intatta, indipendentemente dall’unità nella fede, la propria tradizione liturgica, canonica e teologica. Tale fede comune poteva esprimersi in formulazioni differenti (per esempio, riguardo alla processione dello Spirito Santo) e tollerare anche differenze disciplinari (per esempio, il passaggio a nuove nozze dei coniugi separati, tollerato anche al concilio di Trento per i greci, non per i latini). Anche se il tentativo di Firenze è fallito, gli impulsi dati da esso non sono rimasti senza risultato. Hanno determinato il fatto che la Chiesa cattolica non può più essere identificata per la sua latinità. Secondo il Concilio Vaticano II ormai vale il modello delle Chiese sorelle, un modello ispirato ai rapporti esistenti nel primo millennio» («L’unità davanti a noi», in Enchiridion Oecumenicum. I.Dialoghi internazionali 1931-1984, Bologna, Edb, 1986, 768).
 
La visita di Francesco in Turchia dello scorso novembre, secondo «La Civiltà Cattolica» ha riportato alla ribalta la formula e l’intenzione del Concilio di Firenze. Nonostante si sia concluso allora con un nulla di fatto, «il decreto Laetentur caeli ha un significato storico che è ancora attuale nell’ecumenismo: un modo nuovo e originale per giungere alla piena unità fra le Chiese».

FONTE: vaticaninsiderlastampa

Exsurgi Magica Europa ...

Il Martire Felice di Roma in San Giovanni Gemini

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La vita cristiana è segnata dal dono della Spirito Santo il quale, parlando in noi, ci fa riconoscere Dio come Padre. Lo Spirito di Gesù è il dono che se accolto dalla nostra libertà, legandoci a Cristo, ci lega al suo destino: la santità. Infatti dice la preghiera Eucaristica III: "Padre santo fonte di ogni santità",è il Padre che in Cristo per opera dello Spirito, accolto dalla nostra libertà, ci santifica. Così ognuno di noi potrà dire come l’apostolo Paolo: «Per la grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana».
Lo Spirito Santo, la grazia di Dio, è concesso a tutti, è dono gratuito di Dio, è dono uguale per tutti, perché è uno e indivisibile. Ciò che crea diversità è soltanto causato dalla risposta della libertà di ciascuno. È qui solo che c’è differenza tra noi tutti e i Santi.

La Chiesa, secondo la sua Tradizione, venera i Santi e tiene in onore le loro Reliquie e le loro immagini; nelle feste dei Santi proclama le meraviglie di Cristo nei suoi Servi e propone ai fedeli esempi da imitare.

I primi Santi venerati nella Chiesa sono i Martiri (= testimoni): quegli uomini e quelle donne che sparsero il loro sangue per restare fedeli a Cristo che per tutti aveva sacrificato la sua vita sulla croce. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
Gesù aveva preannunciato le persecuzioni per i suoi discepoli: «Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi... Sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro ed ai pagani. E quando sarete consegnati nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire: non siete, infatti, voi a parlare, ma lo Spirito del Padre che parla per voi».

La storia della Chiesa, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, dall’età apostolica ai giorni nostri, è stata segnata dalla testimonianza di innumerevoli cristiani che sono stati arrestati, torturati ed uccisi in odio a Cristo. Il martirio è sempre stato ritenuto dai cristiani un dono, una grazia, un privilegio, la pienezza del Battesimo, perché si è «battezzati nelle morte di Cristo». Il Concilio Vaticano II così insegna: « Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d'amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa. » (LG 42).
 
 
* * *

La venerazione del Martire Felice risale al momento in cui la Curia Romane ordina l'estrazione delle sacre ossa da una catacomba (di cui non abbiamo documento in nostro possesso non potendo ottenere documentazione da S. Giovanni Gemini).
 
È il periodo storico culla del culto delle reliquie estratte dalle catacombe romane: un po’ per riscoperta in quel percorso di rivalutazione della storia e un po’ in risposta al dilagare delle correnti protestanti che negavano il culto dei santi e delle loro autentiche reliquie.
Queste cosiddetti “corpi santi” o martiri delle catacombe, furono prelevate e inviate in dono e per devozione un po’ dappertutto in Europa e nel Nuovo Mondo.
Promotori di questi “sacri viaggi” erano ecclesiastici, dignitari pontifici, semplici sacerdoti o religiosi, oppure anche nobili signori che operavano il trasferimento del sacro deposito presso le loro zone d’origine o di possedimento, dando così inizio a devozioni locali molto forti verso il Martire delle reliquie.
In alcuni casi la storia personale del santo martire, perlopiù inesistente o non provata o leggendaria, veniva compilata da sacerdoti scrittori, a volte con molta fantasia, a volte facendo diventare il santo martire originario del luogo oppure vista l’omonimia con un altro Martire del “Martyrologium Romanum” componevano il mosaico: noi abbiamo le ossa e il Martirologio ha i dati storici.
Questo però creo confusione e spesso moltiplico i corpi di Martiri, oppure ne diede uno a quel Martire di cui non c’era il corpo.
 
Di San Felice di San Giovanni Gemini sappiamo solo che è un martire romano, le cui sacre reliquie sono venerate nella Chiesa Madre di San Giovanni Battista.
 
Il santino fa parte della serie MG.
 
Di Martiri simili a San Felice, ma con un culto molto intenso, in Sicilia abbiamo Santa Fortunata di Bacina e San Vincenzo di Acate.
 
Altro esempio è Santa Candida di Milazzo.
 
Concludiamo con una preghiera ai Santi Martiri:

O beati martiri,
o grappoli umani della vite di Dio,
il vostro vino inebria la Chiesa;
luci gloriose e divine,
che avete accettato con gioia tutti i tormenti
e vinto gli iniqui carnefici;
gloria alla potenza che vi ha assistito
quando combatteste!
Il Dio venuto per la nostra salvezza
abbia pietà di noi.


(Rabbula di Edessa, Inni)
 

La Quaresima .... un ritorno!

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«Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Luca 9,23).
La Quaresima, un ritorno!




"Trovare un senso alle parole
per capire in questo mondo
come vivere, lottare senza perdersi
immagina di noi l'inverosimile
un posto surreale dove vivere e poi perdersi
immagine che niente possa ucciderci
parlami di te
come non fossi stati mai
lontano e ritornerò da te ..."




Francesco d'Assisi è reso folle dall'amore, grida a Dio perché gli arrivi una risposta. L'Altissimo risponde attraverso il segno più grande che gli poteva essere dato, quello dell'Amore, con il segno delle stimmate.
Un segno esteriore, ma con una letizia interiore, tanto grande quanto il suo grido di dolore iniziale.


Signore, parlami di te!
Rispondi al grido di ogni uomo,
perché possa dire
"Deus mihi dixit"
Signore, parlami di te!
"per capire in questo mondo
come vivere, lottare senza perdersi".
Signore,
"parlami di te
come non fossi stati mai
lontano e ritornerò da te",
sarò in te e Tu in me.
Amen.




"Questo principio ..."

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San Paolo della Croce
"il mistico del Crocifisso"





Nella croce il santo amore
perfeziona l'alma amante,
quando fervida e costante
gli consacra tutto il cuore.
Oh, se io potessi dire
qual tesoro alto e divino
che il Dio Uno e Trino
ha riposto nel patire...
Ma perché è un grande arcano
all'amante sol scoperto,
io, che non sono esperto,
sol l'ammiro da lontano.
Fortunato è quel cuore,
che sta in Croce abbandonato,
nelle braccia dell'Amato,
brucia sol di santo Amore;
ancor più è avventurato
chi nel nudo suo patire,
senza ombra di gioire
sta in Croce trasformato.
Oh felice chi patisce
senza attacco al suo patire,
ma sol vuol a sé morire,
per più amar chi lo ferisce.
Io ti do questa lezione
della Croce di Gesù;
ma l'imparerai tu più
nella santa orazione. Amen 
 
(S. Paolo della Croce, Lett. I, 31 agosto 1743, 301)

"Il Signore come martiri li accolga"

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“Sgozzati per il solo motivo di essere cristiani (…) Il Signore come martiri li accolga”.
(papa Francesco)
Agnelli condotti al macello, tutti rivestiti della tuta arancio squillante, il macabro abito sacrificale che il mondo ha imparato a conoscere. Avanzano in fila indiana sulla spiaggia, tenuti per il collo dagli aguzzini senza volto in tuta nera. Poi la marcia finisce nel punto in cui lo spettacolo della morte deve avere inizio, sullo sfondo da cartolina del Mediterraneo.
 
Set di morte
Chi guarda vede adesso uomini messi in ginocchio, la testa china, le labbra che si muovono nell’unica invocazione che può attenuare la paura e che diventa un atto di fede, di coraggio e di dignità senza misura. Quello che chi guarda non vede, ma non è difficile immaginare dalle inquadrature, è il raggelante dispiego di mezzi predisposto dalla regia. Movimenti di macchina, dolly, panoramiche frontali e dall’alto per riprendere in totale e in dettaglio, con la giusta luce e i giusti tempi della narrazione televisiva, lo sgozzamento a sangue freddo di 21 persone sulla riva del mare.
 
Erano solo cristiani
Questo, e purtroppo anche il resto, ha visto chi ha voluto guardare quei 4 crudeli minuti del video messo in rete. Una scena che ha colpito al cuore Papa Francesco, il quale – come promesso ieri – ha aperto la Messa del mattino con un nuovo pensiero per le vittime della ferocia jihadista:
“Offriamo questa Messa per i nostri 21 fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani. Preghiamo per loro, che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros, che soffre tanto”.
 
La chiesa dei martiri egiziani
Tawadros II è il Patriarca della Chiesa Copta Ortodossa che ieri ha ricevuto la commossa telefonata di Francesco, ma anche la visita del presidente al-Sisi e di numerose altre personalità, fra cui l’incaricato d’affari della nunziatura vaticana. E se il Papa è e resta profondamente ferito da questo fatto di sangue, l’Egitto è sotto choc. Il governo ha stabilito il lutto nazionale per sette giorni. Il presidente al-Sisi ha disposto che lo Stato costruisca una chiesa dedicata ai martiri della Libia nella città di Minya, da dove provenivano gran parte dei copti decapitati.
 
Sussurrando il nome di Gesù
Ma sulle tante parole di dolore, che in tanti casi cercano sfogo nella vendetta, in queste ore, una su tutte – quella del vescovo copto cattolico di Giuzeh, Anba Antonios Aziz Mina – mostra una grande sintonia con Papa Francesco mentre si sofferma con grande rispetto sul sacrificio dei 21 cristiani, ripreso e lanciato all’Occidente come un sanguinoso insulto. “Il video che ritrae la loro esecuzione – riferisce il presule egiziano all’agenzia Fides – è stato costruito come un'agghiacciante messinscena cinematografica, con l'intento di spargere terrore. Eppure, in quel prodotto diabolico della finzione e dell'orrore sanguinario, si vede che alcuni dei martiri, nel momento della loro barbara esecuzione, ripetono ‘Signore Gesù Cristo’. Il nome di Gesù è stata l'ultima parola affiorata sulle loro labbra. Come nella passione dei primi martiri, si sono affidati a Colui che poco dopo li avrebbe accolti. E così hanno celebrato la loro vittoria, la vittoria che nessun carnefice potrà loro togliere. Quel nome sussurrato nell'ultimo istante è stato come il sigillo del loro martirio”.
“Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva, perché tu sei mio baluardo e mio rifugio; guidami per amore del tuo nome”.
 
 
I 21 cristiani copti uccisi dall'Isis saranno inseriti nel Sinassario, l’equivalente orientale del martirologio romano, una procedura che equivale alla canonizzazione nella Chiesa latina. Il martirio di questi 21 fedeli verrà commemorato l'8 di Amshir del calendario copto - il 15 febbraio del calendario gregoriano, che è anche la festa della Presentazione di Gesù al tempio.
Lo ha annunciato il patriarca della Chiesa copta ortodossa Tawadros II. I nomi dei 21 egiziani emigrati in Libia, "uccisi perché professavano la fede cristiana" come ha detto il patriarca Tawadros, sono stati inoltre pubblicati dal settimanale Watani, organo di stampa dei copti del Cairo.
Una canonizzazione che è da primato.
Cosa chiedere a questi nuovi Santi Martire della fede?
Come diceva Tertulliano, che il loro sangue sia seme di nuovi cristiani.
Che il loro sangue sia, unito a quello di Cristo, fermento di pace!
Che il loro sangue sia, unito a quello di Cristo, seme di unità tra le Chiese.
Che la testimonianza ci aiuti ad essere veri cristiani, unica vera arma per vincere la paura del fenomeno islamista.

San Lucio I, papa

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San Lucio I, papa, nato a Roma, governò la Chiesa come successore di Pietro dal 25 giugno 253 al 5 marzo 254.
Sepolto precedentemente nel Cimitero di Callisto, fu poi da papa Pasquale I traslato in S. Cecilia. Sue reliquie insigni sono a S. Sisto a Via Appia in un cofanetto murato nella parete sinistra.
Nella chiesa di S. Cecilia venne posto in un sarcofago, oggi nella cripta voluta dal cardinale Rampolla del Tindaro, unitamente ai resti di Urbano martire.
Il 19 ottobre del 1589 vi fu la ricognizione delle reliquie e il 22 novembre dello stesso anno Clemente VIII le ricollocò nel loro sito.
L’antico Martirologio Romano in data 4 marzo, riportava: A Roma, sulla via Appia, il natale di san Lucio primo, Papa e Martire, il quale nella persecuzione di Valeriano per la fede di Cristo mandato prima in esilio, e poi per divino volere avendo ottenuto il permesso di ritornare alla sua Chiesa, finalmente, dopo essersi moltissimo affaticato contro i Novaziani, con la decapitazione compì il martirio. San Cipriano poi lo celebrò con somme lodi.

Il nuovo Martirologio Romano, edito in italiano nel 2004, riporta in data 5 marzo:
“A Roma sulla via Appia nel cimitero di Callisto, deposizione di san Lucio, papa, che, successore di san Cornelio, subì l’esilio per la fede in Cristo e, insigne testimone della fede, affrontò le difficoltà del suo tempo con moderazione e prudenza”.


San Martino e il Drago

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San Martino. Chi non conosce il santo caritatevole di Tours, famoso per il gesto del mantello?

Nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato. Figlio di un ufficiale dell'esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest'epoca che si colloca l'episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. Lasciato l'esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (ordine minore nel cammino per il sacerdozio). Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario. Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell'altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Muore a Candes nel 397.

Qui la storia di San Martino.

Ma il titolo di questa ricerca è legata ad una iconografia trovata in una libreria a Monza lo scorso febbraio. Un santino della ditta Egim (serie Isonzo 409) porta la dicitura San Martino, senza specificare nulla. Certo mi incuriosisce, potrebbe essere un tebeo, uno dei tanti della Legione.

Poi il retro del medesimo santino mi fa capire che è il Santo di Tours.
 
 
Se analizziamo l’immagine capiamo che è un errore iconografico.

La palma e il drago fanno di questo soldato romano, un legionario, un martire, probabilmente san Giorgio, però non è certamente il Santo di Tours come lo descrive la preghiera sul retro.

Diciamo che hanno voluto variare l’iconografia del santo pastore delle Gallie, utilizzando un soggetto che lo richiamasse, ma che in realtà è solo un pasticcio iconografico da …. sbadati!

Decreti, 2 santi e 7 venerabili

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CITTA' DEL VATICANO, 18 Marzo 2015 (Zenit.org) - Ci sono anche i genitori di Santa Teresa di Lisieux tra i nuovi santi di cui Papa Francesco ha approvato oggi la promulgazione dei decreti. Ricevendo in udienza il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, il Santo Padre ha riconosciuto il miracolo attribuito all'intercessione dei Beati coniugi Lodovico Martin, laico e padre di famiglia; nato a Bordeaux il 22 agosto 1823 e morto ad Arnières il 29 luglio 1894, e Maria Zelia Guérin in Martin, laica e madre di famiglia; nata a Saint-Denis-Sarthon il 23 dicembre 1831 e morta ad Alençon il 28 agosto 1877.

Orologiaio lui, proprietaria di un negozio di merletti lei, si conobbero nel 1858, dopo un tentativo da parte di entrambi di entrare in monastero. Dal loro solido matrimonio nacquero nove figli, di cui quattro morirono in tenera età. Impostarono la loro vita familiara sulla preghiera comune, non mancando mai ogni giorno di partecipare ad una Messa o ad una adorazione notturna. Santa Teresa disse infatti: “Il Signore mi ha dato due genitori più degni del cielo che della terra”.

Oltre ai beati coniugi, il Papa ha autorizzato il dicastero a promulgare anche i decreti riguardanti:

- le virtù eroiche del Servo di Dio Francesco Gattola, Sacerdote diocesano, Fondatore della Congregazione delle Suore Figlie della Santissima Vergine Immacolata di Lourdes, nato a Napoli il 19 settembre 1822 ed ivi morto il 20 gennaio 1899;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Pietro Barbarić, Novizio Scolastico della Compagnia di Gesù; nato a Klobuk (Bosnia ed Erzegovina) il 19 maggio 1874 e morto a Travnik (Bosnia ed Erzegovina) il 15 aprile 1897;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Aikenhead, Fondatrice dell'Istituto delle Suore della Carità in Irlanda; nata a Cork (Irlanda) il 19 gennaio 1787 e morta a Dublino (Irlanda) il 22 luglio 1858;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Elisabetta Baldo, già Vedova, Fondatrice della Pia Casa di San  Giuseppe a Gavardo, Confondatrice della Congregazione delle Umili Serve del Signore; nata a Gavardo (Italia) il 29 ottobre 1862 ed ivi morta il 4 luglio 1926;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Vincenza della Passione del Signore (al secolo: Edvige Jaroszewska), Fondatrice della Congregazione delle Suore Benedettine  Samaritane della Croce di Cristo; nata a Piotrków Trybunalski (Polonia) il 7 marzo 1900 e morta a Warszawa (Polonia) il 10 novembre 1937;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Giovanna della Croce (al secolo: Giovanna Vázquez Gutiérrez), Monaca professa del Terzo Ordine di San Francesco, Abbadessa del Convento di Santa Maria della Croce a Cubas di Madrid; nata a Villa de Azaña oggi Numancia La Sagra (Spagna) il 3 maggio 1481 e morta  a Cubas de La Sagra (Spagna) il 3 maggio 1534;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Orsola Bussone, Laica; nata a Vallo Torinese (Italia) il 2 ottobre 1954 e morta a Ca' Savio (Italia) il 10 luglio 1970.

Redemptoris Custos, ora pro nobis!

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Parrocchia San Bartolomeo
Brugherio (MB)


Le letture vogliono descrive chi è Giuseppe in riferimento alla storia della salvezza.
Chi sono io in riferimento alla storia della salvezza?
Egli discendenza di Davide, in cui si innesta la stirpe della famiglia di Nazaret di cui Giuseppe è capo famiglia.
Giuseppe è il sostegno genealogico. Propaggine per una nuova umanità.
Nella secondo lettura, creando un parallelo con Abramo, Giuseppe è l’uomo della fede.
Questa fede è la virtù per diventare veramente eredi della promessa di Abramo.
Così Giuseppe è anche propaggine per una continuata speranza, sempre più duratura ed eterna.
Nel Vangelo infine Giuseppe è l’uomo che si affida ad un progetto di Dio che non comprende tutto, ma è certo che è cosa buona.
Ecco così descritto San Giuseppe.
Un uomo nuovo, pieno di speranza e affidato a Dio. Concludo con un testo di Giovanni Paolo II:
28. In tempi difficili per la Chiesa Pio IX, volendo affidarla alla speciale protezione del santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò «Patrono della Chiesa cattolica» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus», die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta», pars I, vol. V, 283). Il Pontefice sapeva di non compiere un gesto peregrino, perché a motivo dell'eccelsa dignità concessa da Dio a questo suo fedelissimo servo, «la Chiesa, dopo la Vergine Santa, sposa di lui, ebbe sempre in grande onore e ricolmò di lodi il beato Giuseppe, e di preferenza a lui ricorse nelle angustie» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus, die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta+, pars I, vol. V, 282s).
Quali sono i motivi di tanta fiducia? Leone XIII li espone così: «Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere considerato speciale Patrono della Chiesa, e la Chiesa, a sua volta, ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dall'essere egli sposo di Maria e padre putativo di Gesù... Giuseppe fu a suo tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia... E' dunque cosa conveniente e sommamente degna del beato Giuseppe, che, a quel modo che egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora copra e difenda col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo» («Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta», IX [1890] 177-179).
29. Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei «paesi e nazioni dove - come ho scritto nell'esortazione apostolica "Christifideles Laici" - la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti», e che «sono ora messi a dura prova» (34). Per portare il primo annuncio di Cristo o per riportarlo laddove esso è trascurato o dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale «virtù dall'alto» (cfr. Lc 24,49; At 1,8), donazione certo dello Spirito del Signore non disgiunta dall'intercessione e dall'esempio dei suoi santi. (Redemptoris Custos, 1989).
Amen.

Credo in un Cristianesimo...

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... che ci ridoni tutto in nostro essere umani nella Santa Umanità di Gesù.






Oggi la gente ti giudica,
per quale immagine hai.
Vede soltanto le maschere,
e non sa nemmeno chi sei.

Devi mostrarti invincibile,
collezionare trofei.
Ma quando piangi in silenzio,
scopri davvero chi sei.

Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani
che hanno coraggio,
coraggio di essere umani

Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
credo negli esseri umani
che hanno coraggio,
coraggio di essere umani.

Prendi la mano e rialzati,
tu puoi fidarti di me.
Io sono uno qualunque,
uno dei tanti, uguale a te.

Ma che splendore che sei,
nella tua fragilità.
E ti ricordo che non siamo soli
a combattere questa realtà.

Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani che hanno coraggio,
coraggio di essere umani.

Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani che hanno coraggio,
coraggio di essere umani.

Essere umani.

* * *
 


"Pensare al suo silenzio mite: questo sarà il tuo sforzo. Lui farà il resto. Lui farà tutto quello che manca. Ma devi fare quello: nascondere la tua vita in Dio con Cristo. Questo si fa con la contemplazione dell'umanità di Gesù, dell'umanità sofferente. Non c'è un'altra strada: non ce n'è. E' l'unica. Per essere buoni cristiani, contemplare l'umanità di Gesù e l'umanità sofferente. Per dare testimonianza, per poter dare questa testimonianza, quello. Per perdonare, contempla Gesù sofferente. .... per diventare umili, magnanimi, teneri". (Papa Francesco)


* * *

L'amore, amore, amore
ha vinto, vince, vincerà.
L'amore, amore, amore
ha vinto, vince, vincerà.

L'amore, amore, amore
ha vinto, vince, vincerà.
L'amore, amore, amore,
ha vinto, vince, vincerà.

Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani che
hanno coraggio,
coraggio di essere umani.

Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
Cedo negli esseri umani che hanno coraggio,
coraggio di essere umani.

Essere umani.
Essere umani.

(Marco Mengoni, 2015)

La Valtorta ... negativo!

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3 ottobre 2002

         Reverendissimo Padre,
rispondo alla Sua istanza a favore dell’introduzione della Causa di Beatificazione di Maria Valtorta.
I Vescovi toscani, da me consultati secondo le norme vigenti in materia, hanno dato, quasi all’unanimità, parere negativo. Pertanto, almeno per il momento, ritengo che si debba rinunciare a fare ulteriori passi.
La saluto con stima ed affetto nel Signore.
+ Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze
 
Dunque non se ne parla, “almeno per il momento”. L’ora del discernimento sulla base di un sereno esame degli Scritti – unici testimoni della santità di Maria Valtorta – non è ancora arrivata.

Arriverà mai?
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