“Diffidare delle proprie forze, cioè, senza alcun dubbio, dare per certo che mai da sole si possa fare una qualunque cosa buona, secondo l'affermazione di Cristo Gesù: «Nulla potete fare senza di me»; né, tantomeno, si possa resistere alla furia dei nemici infernali e alla loro astuta malizia”.
Lo strazio di don Marella per la dolorosa pena inflitta dal suo Vescovo lo devasta, ma trova ancora più forza e speranza in Cristo, per il sacrificio che gli è chiesto.
«Durante il canto del Credo – tra istupidito, sdegnato e addolorato – io cercavo di mantenermi presente a me stesso. Uno dei poveri bambini venuti con me in chiesa mi si buttò al collo e mi coprì di carezze affettuose. Io gli appoggiai la guancia sul capo: era l’angelo del Signore che mi off riva il calice amaro e la consolazione ineffabile, tutti e due per mano umana, ma tutti e due per parte di Dio.
Gli premetti un momento le labbra sul capo e mormorai “Fiat voluntas Tua – sia fatta la tua volontà”.
Le parole dell’eternità mi parvero sollevarmi da terra e non potei rispondere con la voce, che mi si ruppe, bensì col cuore al “sursum corda – in alto i cuori”. E ringraziai il Signore.
Ripresi il filo della Messa al canone quando, nella ripetizione delle prime parole sostai per ritrovare il nome da aggiungere ad “antistite nostro” Antonio.
Era lui che mi aveva maledetto e vituperato; fui contento d’essermi interrotto e pregai per lui più volentieri; più volentieri per tutti i circostanti, tra cui c’erano i bambini rimasti feriti per me e tanto lieti di tali ferite.
E piansi, piansi tanto nello svolgersi del Sacrificio. E lo sdegno lo sentii sempre più svanire per cedere il posto al senso del nuovo sacrificio che mi domandava Cristo, al dovere di unire la mia umiliazione a quella che Egli misticamente compiva di sé sull’altare, donde mi parve Egli ripetesse “Preghiamo per il bene dei miei fratelli”.
E con questa certezza, tutta di fede e carità, innalzai e ripetei il Padre Nostro e poi risposi alle parole della benedizione finale e sentii che la benedizione invocata su tutti dal Padre Onnipotente Dio potevo sperare discendesse, nonostante tutto, anche su di me.»
Il percorso di don Marella si compie, trovando la salvezza nella carità e dedicandovi tutta la sua vita.
«Posso dire con tutta verità che la strada della mia salvezza è stata la carità. L’orgoglio mi avrebbe perduto. La carità mi ha salvato.
Dio mi ha forgiato non nella dolcezza, ma nelle prove difficili che potevano rischiare di mettere in discussione tutta la mia vita spirituale.
Il perdono fu per me il più soave dei sentimenti, la più importante delle virtù, il più spontaneo degli atti. Da quando sono andato in pensione, mi sono applicato costantemente ai poveri e ho accolto nella mia casa in via San Mamolo i primi orfani. Ho aperto asili, ho fondato altre opere caritative, associazioni, case rifugio e ho aiutato molti ebrei perseguitati e anche soldati sbandati.
Ed ora senza vergogna, pur essendo stato un professore di filosofia, oggi stendo il mio nero cappello di feltro per avere qualche elemosina a favore dei miei poveri. Non mi vergogno di essere “mano di Dio”, mano di carità, mano di perdono.»