Un amico di quando ero ragazzo, perché?
Non so!
Solo ricordo che ero molto legato al beato Innocenzo.
«Gesù è da tutti offeso nel mondo: tocca a me non lasciarlo solo nell’afflizione. L’amore di Dio non consiste in grandi sentimenti, ma in una grande nudità e pazienza per l’amato Dio. Non c’è altro mezzo migliore per custodire lo spirito che patire, fare e tacere. Avrò gran desiderio d’esser soggetto a tutti e in orrore l’esser preferito al minimo» (Fra Innocenzo).
Giovanni Scalvinoni nacque a Niardo (Brescia) il 19 marzo 1844. Rimasto orfano di padre, trascorse l’infanzia a Berzo. Frequentò poi il ginnasio nel collegio di Lovere e da qui passò al seminario di Brescia. Il vescovo Geremia Bonomelli, all’epoca professore in seminario, così testimoniò al processo di beatificazione: «Il chierico Scalvinoni per l’ubbidienza, la modestia, la diligenza, l’umiltà, per un certo candore che traluceva da tutte le sue parole e azioni, conciliava gli animi di tutti i suoi compagni. Il solo vederlo edificava, benché facesse ogni cosa con tutta semplicità». Ordinato sacerdote nel 1867, fu vicario coadiutore a Cevo e vicerettore in seminario. L’innata timidezza, tuttavia, gli faceva desiderare una vita di nascondimento e solitudine. Si fece cappuccino e ricevette il nome di fra Innocenzo. Anche tra i frati ricoprì solo incarichi modesti. Trascorse la maggior parte del tempo al convento-eremo dell’Annunziata, donde veniva chiamato a predicare gli esercizi spirituali nei conventi della Lombardia. Cominciò allora a diffondersi la fama della sua santità. I malati e gli afflitti accorrevano per ricevere la sua benedizione. Nei giorni di festa era al confessionale dal mattino alla sera. Morì nel convento di Bergamo il 3 marzo 1890. Venne beatificato dal suo conterraneo, san Giovanni XXIII.