S. Natale 2019
È un’opera di Georges de La Tour, pittore del Seicento, che richiama il Caravaggio, per i suoi chiaro e scuri, luce e tenebre. Molte opere del pittore francese hanno tra i simboli un lume o una candela o una lanterna.
Nei nostri presepi spesso c’è il pastore con la lanterna o anche S. Giuseppe.
L’opera in questione, Adorazione dei pastori, è del 1644, ed è conservata al Museo del Louvre.
La scena si apre a semicerchio intorno alla culla del Bambino Gesù. Immaginatela. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
Due donne e tre uomini. Alternati: 1 donna, due uomini, 1 donna, 1 uomo.
Sono illuminati dalla luce che sii irradia dal quel centro: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Il Divino Infanteè adagiato sulla paglia: avvolto in strette fasce, una candida cuffia sul capo, dorme placido e serio, come solo i neonati sanno fare.
A tratti, quasi sembra giacere nel dolce sonno della morte, quasi a prefigurare quei tre giorni nel sepolcro. È poi è fasciato, non con le braccia fuori, come ma era usanza e costume in occidente, fino alla metà del ‘900, di rivestire gli infanti, ma è fasciato come un defunto secondo l’usanza e il costume orientale, e ricorda molto le immagini di Lazzaro che esce dal sepolcro, solo manca un dettaglio: il sudario, perché qui è nella mangiatoia e non nel sepolcro.
A sostegno di questa scena, è Natale o è già Pasqua, un piccolo agnello: ed è lui che si avvicina più di tutti al volto del Bambinello. Immagine di infinita tenerezza, ma allo stesso tempo segno che prefigura il sacrificio pasquale, a cui del resto anche le bende, e il sonno stesso di Gesù, direttamente alludono.
Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Una gioia che traspare in alcuni dei cinque personaggi raccolti a semicerchio attorno a Divin Salvatore.
Eretta come una scultura, la prima donna, difronte all’uomo solo che chiude il semicerchio, eppure morbida e tenera proprio come una madre, Mariaè raffigurata sulla sinistra, le mani giunte in adorazione di quel suo Figlio divino, lo sguardo grave e pensoso di chi medita nella quiete del proprio cuore il compiersi del prodigio annunciato.
Maria che diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia.
È adorante. Quel Bimbo pare un’Ostia bianca e luminosa, come quelle che si vedono nelle nostre chiese esposte nei luminosissimi ostensori a raggera. Ma è Natale o è già Pasqua?
Accanto a lei vi è un giovane pastore, umile eppure dallo sguardo fiero, con quei baffetti alla moschettiera e il colletto della camicia vezzosamente ricamato, la mano chiusa sul bastone.
Ecco, vi annuncio una grande gioia!
Sorride invece il personaggio alla sua destra, ed una è delle poche figure in tutta la pittura di La Tour, in verità, a regalarci un simile sorriso. L’uomo stringe lieto fra le dita un flauto, quasi fosse pronto anch’egli ad unirsi, con semplicità, agli angelici cori e alla musica celestiale di questa notte santa.
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Ma il pastore gioioso, coll’altra mano, invece, sale alla tesa del cappello, come per un saluto, e ci ricorda quei personaggi dei nostri presepi di casa, che hanno il pastorello genuflesso e che come il pastorello gioioso di La Tour, compie un saluto gioviale e riverente insieme, a questo Re dei Re che ha scelto una stalla per venire al mondo: ma anche soltanto come un benvenuto a una nuova vita.
Vicino a lui una seconda donna, con in testa una specie di turbante. Un’annotazione di vita contadina, ma che ai nostri occhi diventa quasi un elemento esotico. La scodella scotta, e lo capisce da quelli mani che sorreggono, rimanendo sollevate, e non afferrano la stessa. E poi la delicatezza con cui le sue mani recano l’offerta di una pentola di coccio coperta da un piatto, a contenere forse un po’ di latte per l’infante o un po’ di cibo caldo per confortare i suoi genitori in quella notte, diventa già come il gesto stesso dei Magi che presto giungeranno da Oriente con i loro doni, così simbolici e preziosi: oro, incenso e mirra.
Infine, a chiudere il semicerchio, un uomo di spalle, la barba candida e soffice: il buon Giuseppe. Lo sguardo fisso su quel neonato di cui è padre putativo, stupito per ciò che sta accadendo, ma sinceramente lieto, intimamente felice, come rivela quella scintilla nei suoi occhi che non è solo il riverbero della candela della quale con la mano copre in parte la fiamma, quasi con una sorta di premuroso pudore.
Come se dicesse, Giuseppe: non guardate voi spettatori questo piccolo lume, non confondete lucciole per lanterne, il lume per il Sole, ma volgete piuttosto il vostro sguardo a quella grande luce che è sorta a rischiarare il mondo.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Si tratta di cinque figure dai volti così vivi, così realistici, da sembrare dei veri e propri ritratti, probabilmente di compaesani, e forse di amici, del pittore. Ognuno di essi è come rapito da quello spettacolo che gli si svela dinnanzi, che è al tempo stesso ordinario e straordinario, di questa creatura nata da qualche ora, che giace sotto i loro occhi senza nessuna enfasi, e che rinnova lo stupore per il miracolo della vita.
Sì, tutto in questo dipinto è essenziale. Non ci sono angeli, non ci sono stelle e neppure il bue e l’asino della tradizione.
Sono in semicerchio, ai lati Maria e Giuseppe, uno spettacolo per il mondo, non solo per loro, non solo per pochi.
Fermati, e contempla questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere.
In un semicerchio, perché spalancato, senza barriere. Diceva don Primo Mazzolari nell’omelia di Natale del 1931: «Non ascoltate chi vuole dimostrarvi che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla. Guardate il Presepio o il Calvario e troverete la risposta all’incosciente menzogna. E con la risposta, una grande speranza, perché è dal Presepio e dal Calvario che incomincia la Redenzione».
In semicerchio, come un orecchio in ascolto, attendendo all’annuncio degli angeli. Ecco cosa scrive papa Benedetto XVI nella sua omelia nella Notte Santa del 2005: Il Vangelo [dell’annuncio ai pastori di Betlemme.], mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l’Annuncio dell’angelo. La loro vita non era chiusa in sé stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità, disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. … Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace, proprio nel nostro tempo».
È Natale, ma è già Pasqua!