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Pellegrino all'Arcella

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La chiesa santuario dell’Arcella ha una storia molto lunga e travagliata. Ai tempi di Sant'Antonio era un borgo non lontano dalle mura cittadine, chiamato Capo di Ponte, dove c’era una chiesetta intitolata a Santa Maria de Cela (o de Arcella) che comprendeva il monastero delle Clarisse ed il convento dei Frati minori. Secondo un'antica tradizione, che trova conferma in più fonti, tale primitivo convento francescano dell'Arcella sarebbe stato fondato intorno al 1220 dallo stesso S. Francesco d'Assisi, che di ritorno dalla Terra Santa, diretto verso Assisi, passò per Padova e vi fondò il convento.
All'Arcella giungerà per la prima volta, nel 1227, anche S. Antonio, che nelle successive visite alla città farà riferimento al conventino di "S. Maria Mater Domini", che costituirà il futuro nucleo primitivo dell'attuale Basilica dei Santo.

È all'Arcella che S. Antonio arriverà morente la sera dei 13 giugno 1231 accompagnato anche da Frate Luca Belludi che lo assisterà negli ultimi istanti di vita.
Dopo la morte del santo, la salma fu trasferita alla Basilica di Sant’Antonio, ma l'Arcella, pur se privata del corpo del Santo, continuò ad essere uno dei luoghi più venerati della città, sia perché vi era morto il Santo e sia per la venerazione ed il culto popolare verso Elena Enselmini, annoverata tra i Patroni minori della città di Padova, vissuta e morta nel monastero della "Cella" in cui ancor oggi è conservato il suo corpo.
A metà del XIII secolo il Consiglio maggiore del libero Comune Patavino prese sotto la sua diretta protezione il luogo venerato deliberando di ricostruire a proprie spese l'intero complesso conventuale.
Il Monastero, dopo essere stato gravemente danneggiato durante la presa della città da parte dei veneziani dall’incendio nell’inverno tra il 1494 e 1495, fu poi ricostruito grazie a offerte e a lasciti.
Nel 1509 l'imperatore Massimiliano d'Asburgo, alla guida della lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta, collocò nel monastero il suo quartier generale e più tardi, a seguito della peste, il monastero fu trasformato in lazzaretto.
Nel secondo decennio del 1500 fu distrutto su ordine del Senato Veneto e in seguito venne ricostruito un piccolo capitello porticato identificato come la cella in cui mori S. Antonio.
 
 

 ll capitello continuò ad essere uno dei luoghi più venerati della città, a testimoniarlo anche il lascito testamentario di Baldassarre Dondi Dall’Orologio nel 1649 che destinò la somma di cinquecento ducati d'oro per "Ampliare e rendere più degno il sacro luogo".
Tra il 1674 e il 1675 diviene una piccola ma dignitosa chiesetta e nel 1792 l'Abadessa Elisabetta Speroni, delle Clarisse della Beata Elena Enselmini, proprietarie dei terreni dell'antico monastero distrutto e di quello chiamato popolarmente "Oratorio di Sant'Antonin", promuoveva una campagna di lavori e di restauri del Santuario attraverso una sottoscrizione alla quale, tra gli altri, partecipava il Cardinale Chiaromonti, futuro Papa Pio VII.
        
Austero e solenne, ma al tempo stesso caldo e luminoso per le pareti e le strutture in cotto, il santuario attuale, una tra le più interessanti opere architettoniche neogotiche di chiara ispirazione francescana, è opera degli architetti Eugenio Maestri e Nino Gallimberti che si succedettero nella progettazione e direzione dei lavori tra il 1886 al 1931.
La torre campanaria, che si affianca alla chiesa, venne progettata tra il 1898 e il 1899 dall'architetto padovano Agostino Mozzo.
Nel 1922, quando fu inaugurata, alla sommità della cuspide venne collocata la grande statua di S. Antonio, opera dello scultore veronese Silvio Righetti.
All'interno del Santuario l'intrecciarsi delle volte a crociera della navata e dei transetti scandisce lo spazio assorbito verso l'alto dal luminosissimo volume della cupola, alta 40 metri, per poi chiudersi nella grande abside contenente il coro conventuale.
 
 
 

 La cella dove morì Sant’Antonio, vero fulcro del tempio, è ornata solo da una statua del santo morente scolpita dal Rinaldi nel 1808.
 

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