Con i suoi oltre 75 mila abitanti, Cinisello Balsamoè il terzo comune della provincia di Milano dopo il capoluogo e Sesto San Giovanni. Il suo sviluppo, dovuto alla fortissima immigrazione iniziata negli anni '50 per la vicinanza con le grandi industrie milanesi e le fabbriche di Sesto, ha in effetti stravolto l’identità e le caratteristiche fisiche dei due borghi agricoli originari, Cinisello e Balsamo, poi accorpati in un unico comune nel 1928 non senza resistenze degli abitanti soprattutto di Balsamo. Il primo borgo è l’erede della Cinixellum al tempo in cui le legioni romane conquistarono la Gallia Transpadana, mentre il secondo, circa tre miglia più a sud-est, deriverebbe il suo nome Balsemum o Balxanum da un’antica famiglia nobiliare milanese del X secolo. Tra i palazzoni moderni ancora resistono alcune vecchie case a corte, tipiche dei primitivi insediamenti.
Non so quanti dei laboriosi abitanti di questo hinterland milanese sappiano riferire qualcosa delle lotte religiose che nel Duecento misero in subbuglio la Lombardia e la stessa Milano. Mi riferisco all’eresia dei catari (o “uomini puri”), che in alternativa alla Chiesa cattolica di quel tempo, inquinata dal potere e dalle ricchezze, professavano un messaggio di salvezza e liberazione dalla soggezione al male. Per il rigore morale che li contraddistingueva, i catari, che si consideravano la vera Chiesa di Cristo e degli apostoli, esercitavano un grande fascino su quanti erano disgustati dal clero cattolico, spesso mediocre e corrotto. Inoltre essi avevano semplificato la liturgia, ammettendo un solo sacramento: il battesimo che, impartito agli adulti in prossimità della morte, assicurava il perdono dei peccati e la salvezza eterna.
Quando il dilagare dell’eresia e l’emorragia di fedeli furono accompagnate da un fatto di sangue come l’uccisione, nel 1208, del legato pontificio Pietro di Castelnau, papa Innocenzo III reagì col tribunale dell’Inquisizione e promuovendo la crociata che avrebbe segnato l’annientamento del catarismo prima in Lombardia e poi in tutta Europa (anche se non la fine delle eresie, sempre ripullulanti, magari con nomi diversi, a causa della incoerenza evangelica dei cristiani). Grande nemico dei catari fu il podestà di Milano Oldrado da Tresseno, intimo amico dell’inquisitore per la Lombardia Pietro da Verona. Uno dei motivi di rinnovata persecuzione nei riguardi dei catari fu appunto l’uccisione efferata di quest’ultimo, uomo integerrimo stimato da papa Innocenzo IV, nato da famiglia catara ma poi entrato a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori (i domenicani).
A questo punto verrebbe da chiedersi: cosa c’entra Cinisello Balsamo? Centra, perché alcuni potenti partigiani dei catari, che avevano deciso la soppressione dello scomodo frate, avevano assoldato come killer un tal Carino originario proprio di Balsamo. Per Pietro, di ritorno da Como a Milano insieme a un confratello, l’agguato era stato preparato nella foresta di Barlassina. Inizialmente Carino aveva con sé un complice, venuto poi meno al suo compito all’ultimo momento. Fu quindi costretto a consumare da solo il delitto: armato di un falcastro, una specie di lunga roncola da contadino, assalì i due religiosi, colpendo più volte Pietro e ferendo l’altro. La tradizione dice che in punto di morte la sua vittima intinse un dito nel sangue e scrisse per terra: «Credo». Era il sabato in albis del 3 aprile 1252.
Carino non la fece franca: fu raggiunto e imprigionato, ma riuscì ben presto a evadere. In fuga verso il Sud senza amici e denaro, attraversò tutta l’Emilia Romagna. Ma a Forlì, gravemente ammalato e roso dal rimorso, dovette ricoverarsi nell’ospedale di San Sebastiano, frequentato dai domenicani del vicino convento. Ormai in fin di vita, confessò il suo delitto al priore, che credette al suo pentimento e gli diede piena assoluzione. Non solo: concesse a Carino, dopo una sorprendente guarigione, di essere affiliato al convento in qualità di penitente. Del resto anche altri due famosi catari del tempo, dopo la conversione, avevano vestito l’abito di san Domenico. Nei successivi quarant’anni Carino si prestò ai servizi più umili, non sappiamo se come semplice penitente o reale fratello converso dell’Ordine. Ironia della sorte: nei suoi lavori di giardinaggio adoperava una roncola simile a quella usata per l’omicidio. Si narra che fino all’anno della morte, il 1293, condusse una vita esemplare.
Quando iniziò a prendere piede il suo culto, dalla chiesa del convento le spoglie di lui vennero traslate nel duomo di Forlì. Nell’era moderna furono in parte restituite alla nativa Balsamo, e nel 1964 qui definitivamente riunite nella chiesa parrocchiale di San Martino. A Seveso invece, non lontano da Cinisello Balsamo, sorge il santuario con le venerate reliquie di san Pietro da Verona. In una teca dell’altare si conserva il falcastro utilizzato dal suo uccisore.
La figura del beato Carino da Balsamo ricorda per certi versi quella, secoli dopo, dell’assassino di santa Maria Goretti, Alessandro Serenelli, che in seguito al perdono ricevuto da lei in punto di morte si convertì e, dopo 27 anni di carcere, visse come giardiniere e portinaio in un convento di frati cappuccini delle Marche.
Tutta la vicenda è minutamente ricostruita nel bel libro di Marco Bulgarelli Il santo assassino, edito dalla San Paolo. Scrive nella prefazione il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano: «Il miracolo della conversione che genera comunione rende possibile che, a pochi chilometri di distanza, oggi siano venerati sia l’ucciso che il suo assassino, diventati “uno” in Colui che è il Volto stesso della misericordia».
FONTE: cittanuova.it
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