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XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

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«Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».

La fame fa mormorare oppure sono le insicurezze che sconvolgono il quieto vivere?

Il popolo di Israele era schiavo, ma sazio; non libero ma appagato nel quieto vivere.

Gli eventi di insicurezza di questo tempo ci fanno mormorare, ci fanno brontolare su tutto, tanto che rimpiangiamo ciò che avevamo anche se era nel male.

Perché per il popolo di Israele vale più il quieto vivere che la felicità conquistata con libertà obbedendo alla verità.

Il nostro quieto vivere ci rende ciechi di fronte alla realtà o forse facciamo i sordi, i ciechi, solo perché accomodati e accomodanti nel nostro quieto vivere.

Eppure la nostra vita ha sempre fame, e quando non è sazia fa guerra!

Afferma Susanna Tamaro in una intervista:

Dobbiamo decidere di combattere l’oscurità. Essere consapevoli del male significa opporvi resistenza; opporre resistenza significa conoscere se stessi. La vita è un combattimento continuo. Molto più divertente una vita in cui si combatte, no? Per diventare buoni bisogna riconoscere il male.

Solo Mosè ebbe il coraggio di combattere il male, lui che aveva, ahimè scoperto l’oscurità nella sua persona e la sua capacità di fare il male (ricordate quanto uccide un egiziano!).

Afferma ancora la Tamaro:

Il mondo della fede affronta le tenebre, non è un mondo fatto di sorrisini e applausi ai funerali.

Sorrisini e applausi: quasi che il vogliamoci bene, vino e taralli, oppure spumante e panettone, seduti intorno al tavolo vincono il male, affrontano il tenebre.

Oppure che gli applausi ad un funerale siano il segno della fede di chi crede in un mondo migliore, di chi crede all’eternità, o come dice qualcuno segno che abbiamo voluto bene al defunto?

Sì, non sapevo io che un dei segni culturali della nostra fede siano gli applausi ai funerali!

Non è invece segno di una assuefazione alla mondanità imperante gettato via lo stile di Cristo?

Gesù alla morte della figlia di Giàiro, a quella di Lazzaro, a quella del figlio della vedova di Nain, fa l’applauso?

Dice San Paolo:vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù.

Stiamo diventando dei neopagani, pian piano, in modo subodoro, per sfamare la fame che la vita ci propone.

«Signore, dacci sempre questo pane».

Sfamaci Signore, perché non abbiamo a cercare surrogati per la fame che annida nel nostro cuore!

È il confronto tra un risotto fatto con il brodo di carne e un risotto fatto con la busta e un po’ d’acqua!

La nostra vita non deve malamente sfamarsi, deve fare fatica nel nutrirsi, perché il “buon mangiare” non crea rimpianto.

Ma anche è vero che il “buon mangiare” costa fatica!

Capite! Se io mangio tanto e a sazietà ma non sono libero, non sono felice, non sono nel bene, non è un “buon mangiare”.
 




In un mondo dove sfamarsi, almeno per noi, non costa fatica, e dove lo spreco del cibo non tiene conto della fatica della fame altrui, ricordaci Signore: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Sfamaci Signore, perché a nostra volta possiamo essere dispensatori di Verità, di Vita e di Eternità.

Amen.

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